07/03/10

“Invictus”, l’Invincibile di Clint Eastwood, Morgan Freeman e Matt Damon.

 Nelson Mandela (interpretato nel film da Morgan Freeman) consegna la Coppa
del Mondo di Rugby del 1995 nella mani di François Pienaar (interpretato da Matt Damon)

Se vi dicessi che non mi sono emozionato guardando quelle immagini, che non ho avuto un brivido lungo tutta la schiena ascoltando quei suoni, quelle musiche, e che non mi si è fatta la pelle d’oca ammirando stupefatto l’eccellente interpretazione di Morgan Freeman nei panni di Madiba, Nelson Mandela, commetterei un’ingiustizia nei confronti dei miei sentimenti ed occulterei le sensazioni di una splendida serata passata al cinema. Aspettavo da tempo di vedere l’ultimissimo capolavoro di Clint Eastwood, il cowboy di Sergio Leone, che da un po’ di anni a questa parte non sbaglia una pellicola; ed anche con “Invictus” ha saputo rimarcare tutta la sua esperienza e professionalità conducendo morbidamente lo spettatore verso una storia fatta di sport e comprensione, di riscatto e fratellanza, di unione ed amicizia. Le premesse non hanno deluso le aspettative; lo spettatore, grazie alla maestria di un eccellente cast e di un superbo regista sulla macchina da presa, può infatti rivivere, con indescrivibile realtà, quel pezzo di storia del Sudafrica chiamato Coppa del Mondo di Rugby del 1995, prima migliore occasione per superare la vergogna dell’apartheid.
  
“Invictus, l’Invincibile, si apre con le immagini della liberazione di Nelson Mandela nel 1994; dopo aver scontato 27 anni di carcere per le sue lotte anti-apartheid, aver vinto il premio Nobel per la pace, ed essere uscito vincitore dalle prime elezioni libere del suo Paese devastato dalla discriminazione razziale, Madiba ha un solo sogno: riunire il popolo del Sudafrica e creare la “Rainbow Nation”. La Coppa del Mondo di Rugby che nel 1995 si tiene per la prima volta in Sudafrica gli appare un’occasione formidabile per riunire il popolo e creare la nazione arcobaleno. 

E’ un intuizione geniale, un’illuminazione che all’inizio sconcerta molti ma che si rileva essere molto convincente soprattutto quando Madiba coinvolge François Pienaar, il Capitano degli Springboks (interpretato sulla schermo da Matt Damon), squadra di bianchi (in cui non a caso c’è un solo giocatore nero) che non sta passando un bel momento. Le “antilopi” (gli springboks) perdono partite su partite, sentono che la loro nazione bianca è finita ed è qui che interviene Mandela che convoca a palazzo Pienaar e, tra una tazza di tè e uno scambio di opinioni secondo il suo stile semplicissimo, gli spiega il valore storico di una eventuale vittoria e lo investe della sua missione. François Pienaar accetta l’incarico ed inizia a condurre la propria squadra verso un processo di redenzione; porta tutti in una township nera a far conoscere ai bambini di colore lo sport del rugby, in un ospedale, a visitare i carcerati di Robben Island. “I tempi cambiano e dobbiamo cambiare anche noi” dice alla sua squadra che non accetta di buon occhio il cambio di rotta del suo Capitano.

“La nazione arcobaleno comincia da qui. La riconciliazione comincia da qui. Anche il perdono comincia da qui” dice Madiba a chi crede che sia tutto una follia. Eppure funziona; gli Springboks vincono partite su partite, l’intero Paese si innamora e si apprestano a giocare la finale contro i temutissimi All Blacks neozelandesi. E’ qui che Mandela tira fuori l’asso dalla manica ed invia a François Pienaar una lettera nella quale scrive “Invictus”, il poema di William Ernest Henley studiato durante i suoi anni di prigionia: “Sotto i colpi d’ascia della sorte, il mio capo sanguina, ma non si china…Non importa quanto stretta sia la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono il padrone del mio destino. Io sono il capitano della mia anima”.

Il 24 giugno del 1995 nell’Ellis Park Stadium di Johannesburg, davanti a 62mila spettatori, si compie qualcosa che nessuno si aspettava: in una finale al cardiopalma gli Springboks battono i leggendari All Blacks e pongono la prima pietra per edificare il nuovo Sudafrica. La storia si ferma ed avviene il miracolo, bianchi e neri festeggiano insieme per la prima volta e Madiba, in tenuta verdeoro, consegna la Coppa nelle mani di Pienaar che alzandola al cielo ringrazia l’intero Sudafrica dicendo: “siamo stati una squadra di 43 milioni di persone”.

Madiba ci aveva visto giusto allora; lo sport sarebbe potuto essere e fu quel veicolo attraverso il quale raggiungere l’unione, la fratellanza, l’integrazione, attraverso il quale dimenticare quegli anni di segregazione e disgregazione costruendo tutti insieme un nuovo Paese e cantando tutti insieme un unico inno: Nkosi Sikelel' iAfrika che in lingua xhosa significa “Dio protegga l’Africa”.